L’Ucraina ci è sempre più vicina: tante nostre famiglie hanno iniziato ad ospitare i profughi e alcuni ragazzi scappati dalla guerra hanno iniziato a frequentare le nostre aule. «Non c’è discorso, strategia, autoconvinzione, o etica, che abbia la forza di risvegliare l’io più della potente provocazione che viene dalla realtà», scriveva Julián Carrón sul Corriere della sera pochi giorni fa. Ed è proprio così.
La provocazione della realtà fa sorgere l’io con tutte le sue domande; per questo, come realtà scolastica, abbiamo voluto incontrarci per approfondire, capire. Così martedì 5 aprile presso l’auditorium del Seminario di Seveso abbiamo incontrato Mario Mauro – già ministro della difesa nel governo Letta – in collegamento teams da Bruxelles, e don Michele Berchi – rettore del Santuario di Oropa – in presenza.
Ha iniziato Mario Mauro proponendoci un esaustivo, quanto mai complesso quadro della situazione, con i suoi richiami alla storia, alla politica, con le problematiche che affondano negli avvenimenti del secolo scorso e nel grande cambiamento che la dissoluzione dell’Unione Sovietica ha comportato sulla scena mondiale. Ma anche con un accorato appello a che la pace possa essere una realtà concreta, ancorata alla verità, alla giustizia, alla libertà, cioè alle esigenze profonde inscritte in ogni cuore umano.
E noi? «Siamo davanti subito ad una prima scelta – inizia don Michele -se essere disponibili a ripartire dalla realtà o se rimanere aggrappati ai nostri schemi. È una sfida che non possiamo dare per scontata. Ogni guerra ci mette di fronte a questo: in fondo in fondo “non è difficile essere come loro” – diceva Chieffo nella sua La nuova Auschwitz».
Ma allora, come combattere l’ideologia – radice di ogni guerra – ?
«Occorre il giudizio, prosegue don Michele, cioè non tirarsi indietro di fronte al proprio desiderio di felicità, del vero del giusto , del buono. Non basta ricordare e dire “mai più”. Bisogna giudicare, cioè guardare in faccia la realtà, riconoscendone l’origine misteriosa». «Il male ha una radice più profonda di noi che la facciamo, c’è una cattiveria che ha delle radici che sono più profonde di noi – la tradizione della Chiesa lo chiama peccato originale – per questo il grande annuncio cristiano ha il nome di Misericordia, che si è fatta presenza nella persona di Cristo e nella compagnia da Lui generata. E la guerra ha sempre origine nella nostra decisione: o affidarsi alla nostra forza o alla Misericordia di Dio. Nelle nostre giornate dobbiamo decidere da che parte stare: o dalla parte della misericordia o dalla parte del male, e quello che scegliamo conta davvero perché, come ricordava don Giussani, “Le forze che muovono la storia sono le stesse che muovono il cuore dell’uomo”».
Misericordia, perdono, non sono parole, ma – come abbiamo visto nei tanti gesti di accoglienza di questi giorni – un’esperienza possibile adesso e lì dove siamo. Educarci a questo sguardo sull’uomo è, in fondo, il più concreto contributo che possiamo dare alla pace nel mondo.